La danza del lavoro “O’ Puntone” a Ischia: scopriamone il significato!

La costruzione di una casa in condizioni proibitive, su terreni difficoltosi e senza l’aiuto della tecnologia o altro supporto meccanico era un’impresa immane, soprattutto su un’isola come Ischia orograficamente irregolare. La parte più difficile era la realizzazione del tetto, la cui lavorazione era scandita da gesti e ritmi che davano il tempo ai lavoratori, quasi come fosse una danza; alla fine della grande fatica, si faceva una con un ricco e abbondante banchetto, per recuperare le energie e brindare al lavoro compiuto. Si trattava di un vero e proprio rito che si svolgeva fino a qualche decennio fa e di cui è sopravvissuta la danza rituale detta “O’ Puntone”.

Foto: isoladischia.net

Le case con i tetti a cupola di Ischia e il ballo che serviva per costruirle

Nel bacino mediterraneo e sull’isola di Ischia si era soliti costruire fino agli anni ’50 del secolo scorso le case con i tetti a botte (piccole cupole emisferiche) chiamate carusiell’ di chiara ispirazione architettonica greco-araba. Molti esemplari sono concentrati nella zona di Buonopane. La costruzione seguiva una procedura ben precisa: la sagoma della struttura si realizzava creando un telaio di pali di castagno su cui si poggiavano dei fasci di viti secche – chiamati “penicilli” – che venivano ricoperti da uno strato spesso di creta, argilla o materiale lavico su cui – a loro volta – si poggiavano le pietre pomice, compatte e robuste. Al termine di questa fase, si procedeva alla costruzione del tetto a cupola: il proprietario preparava l’impasto di calce e lapilli e poi adunava a sé quanti più operai forti, giovani e robusti per la fase più impegnativa dell’opera. Il segnale di adunata era una bandiera issata su un palo di castagno che sventolata fosse ben visibile a grande distanza. La partecipazione ai lavori era spontanea e senza compenso, perché la ricompensa era la festa che ne sarebbe seguita alla fine. I contadini, in queste occasioni, riponevano i propri attrezzi e accorrevano per dare il proprio aiuto. Gli operai che si prestavano a questo lavoro venivano chiamati battitori o puntunari perché portavano con sé il proprio bastone con il quale pressavano a forza di colpi violenti e ritmati la malta a base di calce e lapilli. I loro movimenti ritmati e costanti intorno alla cupola erano così regolari da sembrare un carosello – da qui il nome delle abitazioni – una specie di danza frenetica e incessante scandita spesso da tamburi e strumenti a fiato per evitare che si perdesse il ritmo. Un tetto a cupola veniva completato in media in tre giorni e tre notti lavorando senza sosta. I lavoratori stessi, per incoraggiarsi e per non perdere la lena, raccontavano aneddoti, filastrocche e soprattutto cantavano. Le brevi pause dal lavoro erano solo per mangiare qualche boccone e bere del vino.

O’ Puntone e a’ vattute e ll’astreche, l’origine della danza

La costruzione di una casa ischitana era un vero e proprio rito che è rimasto immortalato in una danza che prende il nome di ‘O Puntone – il bastone usato per impastare e battere la calce – ma anche nota con il nome di “a’ vattute ell’astreche”, una vera e propria ricostruzione storica di questo evento unico e importante nella vita agreste: la costruzione di un edificio significava aver raggiunto una posizione tale per poter metter su famiglia, dare un tetto a se stessi e a quanti vi avrebbero abitato. Per questo occorreva festeggiare al termine dell’impresa. Le sequenze del ballo rievocano i momenti e le azioni degli operai:

  • Si parte con il canto propiziatorio “Jesc sole”;
  • Segue il canto “Salut’ allu padrone”;
  • La giornata trascorre tra i pettegolezzi con il canto “Nu sacce che succiss’ ‘a Marupane”;
  • Il capomastro ripete “una e due e tre” per mantenere il ritmo e richiama per soprannome chi si appresta al lavoro;
  • Il canto “Tutti li mezziurn son sunat” ricorda alle donne di affrettarsi a portare o preparare il cibo e il vino per ristorare i lavoratori;
  • Ancora qualche filastrocca durante la pausa citando cibi, verdure e ortaggi e un brindisi;
  • Si torna al lavoro con l’inno dei puntunari “Sartulella”;
  • Si termina con la Tarantella lu Ceras.

Il tetto si completava gettando del grano di tanto in tanto per evitare le fessurazioni e come buon auspicio di prosperità e fertilità. Al termine dei lavori ci si recava tutti a festeggiare, mangiando abbondantemente quello che le donne, nel frattempo, avevano preparato: coniglio alla cacciatora, zeppole e vino a fiumi. E si continuava a ballare e cantare per tutto il giorno.

Queste tradizioni, oggi, sono mantenute vive dai gruppi folkloristici locali che organizzano durante l’anno feste e ricostruzioni storiche per i turisti in visita all’isola di Ischia e per non dimenticare le proprie origini.

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