Il bosco della Falanga: chiara testimonianza della vita contadina

Questa zona non è sempre stata un’area alberata, infatti, prima dell’Ottocento era una grande collina ricca di colture di vite tanto che il bosco è ad oggi, ancora pieno di molte tracce di questo passato lontano: le case che furono scavate in grosse pietre cadute dall’Epomeo si trovano ancora lì nel bosco. Certe sono molto ben conservate e, al loro interno, si possono vedere i ganci a cui si legavano gli animali, l’area del focolare e delle piccole nicchie su cui, durante la notte si poggiavano le candele.

Mentre l’interno è creato dall’uomo, all’esterno, gli agenti atmosferici e il tempo hanno scolpito queste abitazioni donandogli un aspetto spartano ma al contempo magico grazie agli artistici giochi di pieno e di vuoto con forme e altorilievi plasmati da vento, pioggia e ghiaccio sulla malleabile materia tufacea.

Nei pressi dell’arco di ingresso venivano poste grandi croci imbiancate con calce che non erano solo lì per devozione religiosa ma, con la loro accecante bianchezza dovuta alla calce, mantenevano distanti gli animali del bosco che per lo più erano grossi topi. Non è questa, però, l’unica traccia delle case-caverna del bosco della Falanga che prova la vita agricola della zona, infatti, si possono osservare anche fosse della neve realizzate dall’uomo con profondità di anche 10 metri che servivano per conservare il ghiaccio che in inverno scendeva sull’Epomeo.

Falanga Ischia Bosco

Se si guarda con attenzione, poi, si possono vedere lungo tutto il bosco alcuni muretti a secco perfettamente conservati che sono un indizio certo di come, in questo territorio, vi fossero molti vigneti di varie forme e dimensioni che ricamavano i terrazzamenti di terreno che salivano fino alla cima dell’Epomeo diventando sempre più stretti ed impervi.

Muretti a secco Falanga

Gli antichi palmenti

Nel bosco della Falanga, i palmenti sono antichissimi e, uno su tutti, è davvero in uno stato di conservazione eccellente. Esso è costituito da due vasche rettangolari con di differenti dimensioni: in quella più grande si poneva l’uva ed era collegata mediante un foro a quella più piccola in cui scorreva il mosto.

Gli esperti pensano che questo palmento possa essere uno fra i più antichi dell’isola di Ischia perché agli atti dell’anno 1000 si trova l’esistenza nel casale ad Ischia “qui nominatur ad bicum” di un palmento di un subscetorium, ovvero la vasca per il mosto, la quale si trovava in mezzo alle vigne. Si capisce che questa descrizione è perfetta per la fisionomia della Falanga.

I Borbone e la riserva di caccia

I Borbone erano cacciatori instancabili e, durante il loro Regno ad Ischia, furono piantumati vari boschi fra cui proprio il castagneto della Falanga. Anche perché intanto le attività del villaggio del vino erano un po’ scemate e si preferivano terre più vicine al mare essedo finito anche il pericolo delle incursioni dei Saraceni, quindi, non c’era bisogno di spingersi così lontano.

L’attività dei nevaioli continua

Invece sappiamo che i “nevaioli” della Falanga proseguirono la loro attività e, siccome il ghiaccio serviva anche per la preparazione di gustose granite. Si narra che Ferdinando IV giunse ad Ischia per la prima volta nel luglio del 1783 e assaggiò proprio una granita preparata con la neve dell’Epomeo che li piacque così tanto che i nevaioli diventarono fornitori ufficiali di corte per queste delizie ghiacciate.

Quando c’era una grossa nevicata, essi, si radunavano nella piazza allertati dal rumore di una grande conchiglia, detta tofa, suonata da un banditore. Salivano quindi in montagna portando con loro pale, bastoni e cofani per raccogliere grandine e neve nelle fosse della Falanga. Per non farle sciogliere, le ricoprivano con della pacciamatura fatta di foglie e rami. Quando poi giungeva la stagione calda salivano di nuovo in montagna e mettevano la neve nei contenitori di giunco, avvolta nella stoffa e, con i muli, giravano per il paese urlando “a’ neve, a’ neve, ‘u nevaiuolo”. Infatti era un acquisto ben gradito dalle massaie che la utilizzavano per rinfrescare vino e bevande varie oppure per preparare granite e sorbetti con gli altrettanto famosi limoni ischitani (vedi anche l’articolo “Limoncello Ischitano“.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

[]